Gianni Morandi, l’eterno e coerente divo di casa

Gesticolare inconfondibile, manone, un po' di furba umiltà. Fa 75 anni il cantante che ha sempre saputo essere, o apparire, il più normale possibile. Di sinistra ma non spocchioso, orgoglioso della sua quinta elementare. Ritratto di un italiano vero con quell'entusiasmo che regge al tempo.

Finiamola con questa storia di Gianni Morandi l’eterno ragazzo, che ci ha fatto incanutire. Morandi è eterno, punto e basta. L’11 dicembre 2019 ha fatto 75 anni, cavalcando stagioni, epoche, mutamenti ma in fondo è sempre lui, senza fronzoli, senza addobbi, la solita giacca e pantaloni, il gesticolare inconfondibile e quell’entusiasmo a prova di tempo.

COSÌ VITALE CHE SEMBRA PIÙ GIOVANE DI NOI

Chi scrive lo vedeva a Sanremo, a mezzanotte ospite sul palco dell’Ariston e alla nove della mattina se lo ritrovava sul tir di un network fresco e pimpante che mitragliava interviste e rideva e cantava e si sbracciava con le manone, completino giacca pantaloni e camicia candida che uno pensava: ma come fa, Dio lo benedica? E a vederlo così libero e bello ti sentivi suo nonno.

NON DOVEVA FARE L’ANTIDIVO PER ESSERE UN DIVO

Morandi, quando un nome diventa un modo di rispecchiare. Come un’autobiografia della nazione nei suoi aspetti più fragranti; un italiano, un italiano vero. Ne ha vista scorrere di acqua sotto i ponti, ha conosciuto il divismo ancora imberbe, quando “andava a cento all’ora“, e di sicuro divo lo è stato, nel bene e nel male (gli dedica passaggi non proprio benevoli, per esempio, Adriano Aragozzini in un suo libro autobiografico), ma ha sempre saputo essere, o apparire, il più normale possibile: un divo che non aveva bisogno di fare l’antidivo per essere un divo.

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Una foto di Gianni Morandi in occasione della presentazione del nuovo album “D’amore d’autore”, diffusa il 16 novembre 2017. (Ansa)

SIMBOLO DELLE MIGLIORI STAGIONI DELL’ITALIA

E non ha, è chiaro, conosciuto solo le rose e i fiori del successo, uno con 60 anni di carriera sfoglia i giorni buoni e quelli tetri e poi quelli buoni ancora. Ma è come se nel suo sorrisone aperto, nel suo gesticolare di manone generose, qualcosa riportasse sempre a stagioni che ricordiamo come le migliori della nostra vita, le più genuine, anche se erano adulterate anche quelle.

RIPORTA A UN PO’ DI INGENUITÀ RESIDUA

Sì, c’è qualcosa nel Gianni nazionale (l’altro è Rivera, e potrebbero valere grossomodo le stesse considerazioni) che riporta sempre all’ingenuità residua, a quando la dimensione del divismo era più irraggiungibile e insieme più a portata di mano. La stagione dei Natali d’oro, delle estati sudate, dei sabati sera delle Canzonissime e dei kolossal di una televisione spettacolosa, delle masse che erano ancora popolo, degli italiani che non si erano ancora montati la testa, salvo alcuni, nati patrizi, stronzi di default. E che la facciamo a fare la storia della carriera di Gianni Morandi, oggi che tutti la stanno spolverando?

QUANDO IL PAESE MASCHILISTA SI FINGEVA ROMANTICO

No, parliamo di lui, di quello che rappresenta, di come gli italiani lo vedono, lo sentono, lo ascoltano. Lui che in questi giorni è tornato, come per un vezzo, come per un incantesimo contro il tempo, nel teatro che lo vide esplodere, a Bologna, il Duse: Stasera gioco in casa si chiama il suo spettacolo che non è retrospettivo, è eterno e la gente non ne ha abbastanza, 21 serate sono poche, lui ne ha dovute aggiungere altre quattro. E giù con La Fisarmonica, In ginocchio da te, Non son degno di te, l’Italia maschilista che si fingeva romantica e forse, dopotutto, un po’ lo era davvero.

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Un giovane Gianni Morandi. (Ansa)

UGUALE MA NON PER GATTOPARDISMO: È COERENZA

Morandi che ci ricorda come eravamo, perché pur cambiando non è mai cambiato e per una volta non è gattopardismo, è coerenza: io sono questo, sono così e anche se divento una star di Facebook lo faccio a modo mio, lo resto a modo mio. Quando, passato il decennio d’oro, nella seconda metà degli Anni 70 la sua stella s’è offuscata, e lo è rimasta a lungo, Morandi non ha fatto come altri, che ringhiavano, «il pubblico non mi capisce», e magari si tingevano di straziante giovanilismo; s’è infilato al Conservatorio, s’è messo a studiare la musica in modo colto, lui campione del canzonettismo popolare (ma che canzoni, però!), e poi, grazie a Mogol, ma soprattutto a Lucio Dalla, è riemerso.

NON SI È PERSO COME IL PRESUNTO GURU CELENTANO

Da allora ha saputo amministrarsi, piazzando qualche bel gancio, anche stupidino, Banane e lampone, e qualche inno sempreverde, Uno su mille ce la fa. E quell’uno su mille era lui. Cavalcando il tempo, ma senza cambiare troppo. Ci sono coetanei della sua epoca che si son persi, come Adriano Celentano che ha preteso di farsi feticcio, guru onnisciente senza averne i minimi fondamenti culturali. Gianni no: con la sua quinta elementare orgogliosa si è costruito senza mai dimenticare le radici.

DI SINISTRA, PERÒ NON QUELLA FANATICA O INTEGRALISTA

Uomo di sinistra, ma una sinistra vivaddio non spocchiosa, non arrogante, non fanatica o integralista. Il pubblico lo segue, diremmo, perché si riconosce in lui, ci si specchia e gli piace quello che vede: un’Italia che non c’è più, ma che il Gianni tiene ancora presente con le sue Fisarmoniche e il suo look senza fronzoli e senza tempo.

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Un’immagine che mostra Gianni Morandi nel 2002 durante il monologo televisivo in mutande. (Ansa)

TALENTO E ANCHE UNA FURBA UMILTÀ

Il talento, la capacità di essere Morandi, la presenza scenica non si discutono; ma sono presupposti, non è tutto qui. C’è una furba umiltà, c’è l’orgoglio di chi si sa essere, senza pulpiti, senza strafare: ma chi è che non vuol bene al Gianni, chi è che riesce a dirne male? «Ma sarà così davvero o finge, fa il furbo?». Tutti fingono, specie a quel livello di fama.

UNO DI CASA, ANCHE AL RISTORANTE

Ma, se accettate una testimonianza diretta, io l’ho visto tempo fa in un ristorante a Bologna, è entrato e s’è infilato in cucina e giù pacche sulle spalle, sorrisi e saluti, e tutti erano contenti, tutti lo trattavano come uno di famiglia. Certo, sarà stato uno dei suoi locali abituali, ma c’era qualcosa in quell’apparire, qualcosa che non si può recitare. Qualcosa di bolognese, anche, diobò. Qualcosa che non poteva essere che così. Essere Gianni Morandi. Dopo è andato a sedersi, con qualcuno, e la gente diceva: hai visto, c’è Morandi, c’è il Gianni, ma così, come si fa con un divo di casa. Da 60 anni o giù di lì. Cento di questi giorni, Gianni Morandi, per te e per tutti noi.

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