Finanziamento ai partiti, Rino Formica: «Siamo fermi al discorso di Craxi del 1992»

L'inchiesta su Open riapre il dibattito su denaro e politica. Lo storico esponente del Psi non ha dubbi e punta il dito contro la solita ipocrisia italiana. Con la differenza che nella Prima Repubblica era «condivisa e istituzionalizzata» mentre ora «tutti fanno i giustizialisti quando si tratta degli altri». L'intervista.

«Che cosa insegnano le ultime inchieste della magistratura sulle fondazioni legate ai partiti? Che anche una forma di ipocrisia può entrare in crisi». Parola di Rino Formica, 92 anni, già ministro e fra i massimi esponenti del Psi di Bettino Craxi. Anche se da Mani Pulite è passata un’era geologica «e le regole del finanziamento ai partiti sono profondamente cambiate, siamo sempre allo stesso punto». 

Rino Formica in una foto degli Anni 80 (LaPresse).

DOMANDA: Qual è il punto da cui non ci saremmo mossi in tutti questi anni?
RISPOSTA. Il punto è la pretesa di mettere le brache alla realtà, facendo finta che sia diversa da quel che è. Per dirla in modo diverso: siamo sempre alla finzione che un’attività politica possa essere svolta in modo spirituale, senza una necessità di organizzazione. Al contrario, la politica ha sempre bisogno di organizzazione, strutture, lavoro. E richiede inevitabilmente denaro, a meno di immaginare che sia tutto spontaneo o risolvibile a livello di volontariato.

Veramente il denaro può arrivare dai privati, purché in modo diretto e alla luce del sole.
Non è così. Il finanziamento a un partito apre la porte a ipotesi di reato, come il traffico di influenze e altre cose del genere. Ci si domanda sempre: perché quel privato finanzia un partito? Quale sarà il suo interesse occulto? Insomma, se uno spende soldi per il suo divertimento va bene, perché incrementa il Pil. Se invece vuole finanziare un’attività politica perché ha fiducia verso un partito o un singolo politico allora è oggetto di sospetto e riprovazione.

Il famoso discorso di Craxi alla Camera del 1992, quando disse che tutti i partiti sapevano e si comportavano alla stessa maniera è sempre attuale. Solo che allora, a differenza di oggi, nessuno si alzò per smentirlo

Non ci dobbiamo cautelare dal rischio che un privato finanzi un partito per ottenerne un vantaggio personale?
Ma quello è un reato. Se in cambio di quel finanziamento ottiene un beneficio illecito va processato e condannato. Ma qui parliamo di un’altra cosa. Non conosco le carte dell’inchiesta sulla Fondazione renziana Open, ma da quanto leggo sui giornali mi pare sia contestato il finanziamento illecito.

Davvero non vede un miglioramento del rapporto fra soldi e politica dai tempi di Mani Pulite?
Al contrario, vedo un peggioramento sostanziale, che si è consumato con il passaggio da una ipocrisia condivisa e istituzionalizzata, com’era quella della Prima Repubblica a un finzione espressa a livello individuale: tutti continuano a comportarsi sempre allo stesso modo, però fanno i giustizialisti quando si tratta degli altri. Il famoso discorso di Craxi alla Camera del 1992, quando disse che tutti i partiti sapevano e si comportavano alla stessa maniera è sempre attuale. Solo che allora, a differenza di oggi, nessuno si alzò per smentirlo.

Intende dire che i bilanci dei partiti di quel tempo erano tutti falsi? 
Non solo erano falsi, ma erano anche avallati dagli uffici di presidenza delle Camere che avevano il compito di controllare. Tutti sapevano che i partiti ricevevano contributi privati in aggiunta al contributo pubblico e tutti facevano finta di non vedere. Poi con la Seconda Repubblica quella tolleranza generale è venuta meno e questo spiega la proliferazione delle fondazioni politiche. 

Nel senso che sono nate fondamentalmente per raccogliere soldi per i partiti?
Ne sono convinto. A parte quelle con una struttura vera e propria, che svolgono con continuità attività culturali importanti e riconosciute. Ma si contano sulle dita di una mano.

Come se ne esce?
È difficile, perché l’attitudine a infrangere le regole per poi fare la morale agli altri è un tratto tipico del nostro Paese. E per cambiare la mentalità di un Paese ci vuole tanto tempo, mentre la politica pretende soluzioni immediate. Ma vale sempre la pena di combattere l’ipocrisia, riconoscendo che la politica ha i suoi costi, specie se è una politica riformista.

Addirittura?
Certo. Quando ero ragazzo i più anziani mi spiegarono che la differenza fra conservatori e riformisti era che i primi lasciavano marcire i problemi mentre i secondi lavoravano per affrontarli nel modo più tempestivo. È soprattutto questa attività che richiede risorse. E un Paese che non fa riforme, in tempi così complessi, è destinato a precipitare nel caos. 


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Fondazioni e Think Tank, perché i controlli non funzionano

Aver equiparato associazioni e partiti e istituto una Commissione ad hoc non ha risolto i problemi. I cinque magistrati designati dovrebbero monitorare 6 mila organizzazioni e 56 mila persone. Ma mancano risorse e personale. Il report di OpenPolis.

Fatta la legge per i controlli sulle fondazioni, trovata la mancanza. Di risorse e personale. Con la conseguenza di vanificare gran parte delle intenzioni della riforma.

La norma, che equipara le fondazioni ai partiti, è entrata in vigore con il decreto Spazzacorrotti ed è stata ritoccata dal decreto Crescita e impone alle associazioni di pubblicare gli organi direttivi, il bilancio, lo Statuto e le donazioni. Ma presenta comunque un grande bug: non ci sono adeguate dotazioni di personale per verificare chi opera nelle fondazioni, tornate al centro della cronaca per le indagini su Open, la cosiddetta cassaforte renziana.

Su questo caso sarà l’inchiesta a chiarire le cose, ma un fatto è già assodato: la riforma voluta dal governo gialloverde non cambia le cose, almeno se si parla di controllo. Anzi fa perdere i magistrati, responsabili delle verifiche, in un mare magnum di nomi e informazioni. Smarriti in una platea sterminata da monitorare. 

LA COMMISSIONE DI GARANZIA È COMPOSTA SOLO DA 5 MAGISTRATI

La Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici, chiamata a monitorare su questi enti, è formata infatti da cinque magistrati, esattamente come quando è stata istituita. Alla nascita aveva però solo il compito di controllare i partiti e i movimenti politici, che – per quanto numerosi – sono comunque inferiori alla fioritura di fondazioni. Uno studio OpenPolis, pubblicato qualche giorno fa, fornisce numeri impressionanti: dovrebbero essere sottoposti a verifiche quasi 54 mila persone, per un totale di oltre 6 mila organizzazioni.

IL MARE MAGNUM DELLE ORGANIZZAZIONI

«Per la legge rientrano nel novero delle organizzazioni da monitorare tutte quelle strutture i cui organi direttivi sono composti per un terzo da persone che hanno avuto incarichi politici negli ultimi sei anni nel parlamento europeo e nazionale, nel governo, nelle regioni e nei comuni con più di 15 mila abitanti», spiega nel dettaglio il dossier. «Stiamo parlando di 53.904 persone, un numero talmente elevato che rende la fattibilità stessa dell’operazione un’illusione. Di fronte a questi numeri gli allarmi lanciati dalla commissione di garanzia sul non avere i mezzi per svolgere il proprio mandato sembrano legittimi». Il giudizio è quindi tranchant: «La normativa per com’è ora serve infatti solo ad anestetizzare il problema: una legge scritta male e un organo di controllo che non ha i mezzi per vigilare».

SEIMILA ASSOCIAZIONI DA MONITORARE

Una relazione della stessa Commissione, risalente allo scorso maggio, ha evidenziato la questione dell’immane lavoro da svolgere a fronte di risorse limitate: «Nell’ampliamento della nozione di partito e di movimento politico segue il notevole incremento dei compiti di controllo e sanzionatori della Commissione, a cui si aggiunge un’intensa attività istruttoria per l’identificazione delle diverse realtà associative destinatarie della nuova normativa, che si possono ipotizzare in circa 6 mila unità», si legge nel documento consegnato alla Camera. Nel passaggio successivo c’è la denuncia della situazione: «Funzioni da espletare con risorse umane e organizzative invariate e in assenza di ogni supporto economico dei compiti di istituto». Insomma, una precisa richiesta di potenziamento dell’organico, uno degli ultimi atti dell’ex presidente, Luciano Calamaro, che ha rassegnato le dimissioni a giugno. Al suo posto è stato nominato Amedeo Federici, affiancato dagli altri quattro componenti dell’organismo, Fabrizio Di Marzio, Salvatore Cacace, Laura Cafasso e Luisa De Petris. Peraltro, ai componenti della Commissione «non è corrisposto alcun compenso o indennità per l’attività prestata», come recita la legge istitutiva.

NEL MIRINO SOPRATTUTTO CONSIGLIERI, ASSESSORI E SINDACI

OpenPolis ha messo insieme un po’ di numeri, utili a capire le dimensioni del fenomeno. La fetta maggiore delle persone da monitorare riguarda chi ha occupato ruoli nei comuni con più di 15 mila abitanti: si parla di 48.955 tra consiglieri, assessori e sindaci. Il 90% del totale. Mentre sono 4.949 i politici in ambito nazionale ed europeo, così suddivisi: 208 nel parlamento europeo, 245 nel governo, 663 nel Senato, 1.303 nella Camera, 2.530 nelle Regioni. Una cifra impegnativa, ma che renderebbe possibile uno screening. «È ingenuo mettere sullo stesso piano organizzazioni strutturate come Italianieuropei o Aspen, con realtà associative locali coinvolte dalla normativa solamente perché un terzo degli organi apicali è composto da politici con incarichi comunali», chiosa OpenPolis.

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