Una legge discriminatoria nei confronti della minoranza musulmana ha fatto esplodere violente proteste in tutto il Paese. Con il suo continuo favorire la maggioranza Indu, il premier rischia di riportare il subcontinente al 1947.
Altissima tensione in India, dove le proteste contro la nuova legge sulla cittadinanza voluta dal premier, Narendra Modi, discriminatoria nei confronti dei musulmani (nel subcontinente sono 200 milioni), ha innescato duri scontri. Con un bilancio di almeno sei morti, centinaia di feriti e di arresti in cinque giorni, soprattutto nello stato nordorientale dell’Assam. La legge, il Citizens Amendment Act, prevede un percorso strutturato per concedere la cittadinanza ai migranti Indu, Sikh, Parsi, Buddhisti e Cristiani, escludendo solo quelli di religione islamica. Il governo si è giustificato dicendo che l’intenzione è quella di tutelare le minoranze storicamente più discriminate, ma la ratio della legge è quella di regolarizzare milioni di Indu immigrati dal Bangladesh e contemporaneamente avere carta bianca nell’espulsione dei musulmani irregolari. Il focolaio del malcontento che nel weekend ha visto gli studenti contrapporsi con la polizia nel campus Jamia Millia Islamia di Delhi, si è esteso a tutto il Paese. Con l’opposizione a fare da sponda ai manifestanti. La leader del Bengala occidentale, Mamata Banerjee è scesa in strada a Kolkata alla testa di un massiccio corteo mentre Priyanka e Sonia Gandhi, si sono sedute sotto l’India Gate in un sit-in pacifico. Il portavoce delle opposizioni in Parlamento, Ghulam Nabi Azad, ha detto che non solo il suo partito, il Congresso, ma tutte le opposizioni sono unite nella condanna alle azioni della polizia.
La norma voluta dal premier, rieletto a larga maggioranza a maggio del 2019, è l’ultima di una serie di misure altamente nazionalistiche che gli hanno permesso di ottenere i voti della grande maggioranza degli Indu. Una strategia che ha pagato in termini elettorali, ma che sta riaprendo la ferita della guerra civile tra Indu e musulmani che ha portato alla partizione del 1947.
L’intrusione violenta della polizia nel campus della Jamia Millia Islamia, ha visto gli agenti lanciare lacrimogeni, picchiare coi manganelli studenti e studentesse, insultare le ragazze barricate nei bagni, dove era stata fatta saltare la luce, e devastare una biblioteca e una sala adibita a moschea. Almeno un centinaio di feriti sono stati ricoverati negli ospedali, qualcuno anche ferito da pallottole, mentre una cinquantina di arrestati non hanno potuto incontrare per ore i legali e gli attivisti dei diritti civili. Fondata nel 1931 la Jamia è una delle università più prestigiose del Paese. L’irruzione di ieri pomeriggio documentata da video rilanciati immediatamente sui social, è stata uno shock per il campus, con il vice rettore che oggi ha denunciato la polizia, e per l’India intera. Se non è chiara la dinamica dell’accaduto, che verrà discussa alla Corte Suprema, è chiaro l’intento della polizia di reprimere la protesta a tutti i costi.
La domenica nera della Jamia ha acceso un fuoco che si è allargato alle università di tutto il Paese: oggi, mentre i 50 fermati ieri venivano liberati, decine di migliaia di altri studenti sono scesi in strada dall’IIS di Bengaluru, ai due principali istituti di Mumbai, il Tiss e la Bombay University, ai college di Chennai, Madurai, Pondicherry, in Tamil Nadu, a Hyderabad, all’Università gemella della Jamia, in Uttar Pradesh. Il premier Modi ha cercato di placare gli animi con un tweet in cui dice che nessun indiano sarà toccato dalla nuova legge «che riguarda solo i rifugiati perseguitati per motivi religiosi». Ma gli studenti che contestano la cittadinanza basata sull’appartenenza religiosa con l’esclusione dei musulmani, e gli indiani del Nord Est (dell’Assam, Tripura e Meghalaya, che si sentono minacciati nelle loro identità dagli immigrati dal Bangladesh), non la pensano come lui. I più delusi dal premier e dal governo nell’Asam dove continuano le manifestazioni e regna il coprifuoco, con il governo che ha inviato alcune migliaia di agenti di sicurezza ed ha sospeso internet fino a domani, creando un “Kashmir dell’Est”.
«Il governo di Modi ha dichiarato guerra alla nostra gente», ha detto Sonia Gandhi sotto l’arco di trionfo di Delhi, circondata da migliaia di persone che hanno letto con lei il preambolo della Costituzione: «Da giorni gli studenti protestano contro l’aumento delle rette e l’attacco alla Costituzione, ma il premier e il ministro degli interni Shah», ha denunciato, «li attaccano come terroristi, secessionisti, rinnegati. Il loro è un attacco alla nostra anima».
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